Gli 11 Paesi orgogliosi di essere Paradisi Fiscali

big1) Brunei

Niente tasse sulle persone fisiche, niente tasse sul capital gain, segreto bancario (quasi) invalicabile. Senza nulla togliere alle spiagge del Mar Cinese, sono altri i motivi che hanno fatto eleggere il Brunei tra i “paradisi” degli ultimi report del Global Forum Ocse. Il secondo Paese più ricco del sud est asiatico (reddito pro capite di 31mila dollari Usa) sta cercando di svincolarsi dalla dipendenza dagli idrocarburi che domina il 90% dell’export e il 50% del Pil con il maxi piano di sviluppo “Vision Brunei 2035”.

Il processo di diversificazione passa (anche) per l’attrazione di capitali esteri con quello che lo stesso board nazionale per lo sviluppo economico definisce “uno tra i regimi più liberali” della regione.
2) Isole Marshall

Le Isole Marshall, il “terzo registro aperto più grande al mondo”, non prevedono alcuna forma di tassazione per le aziende con domicilio sul suo territorio e attività all’estero. Meglio se in mare aperto: per acquisire lo status di società non-residente basta iscriversi al Registro navale, pratica che ha permesso a più di 2.700 imbarcazioni estere di far sventolare la bandiera (di comodo) delle Marshall Islands per alleggerire il carico di tasse e regole.

I tempi di registrazione sono estremamente rapidi, con pratiche che possono aprirsi e chiudersi in un solo giorno. Per i non-residenti che generano una forma di reddito sulle isole è prevista un’aliquota del 10%, mentre i locali scontano una tassa dall’8% al 12% a seconda che il reddito sia inferiore o superiore ai 10.400 dollari annui.
3) Dominica

Siglato nel 1996 per “creare un ambiente competitivo” alle società offshore, l’International Business Companies Act della isola caraibica di Dominica prevede una fitta lista di benefit fiscali per tutte le società internazionali che si iscrivono alla categoria. Nell’ordine: zero tasse locali per i primi 20 anni, niente imposta sul capital gain, nessun vincolo sulla scelta della moneta, nessun tetto minimo sul capitale sociale al momento della fondazione.

L’inesistenza di accordi per la doppia imposizione fa sì che le informazioni non siano alla portata di autorità diverse da quella di Dominica. In più, le Ibc non sono tenute a redigere un bilancio o a tenere conto del proprio andamento al governo dell’isola.
4) Stati Federati della Micronesia

Costituiti da quattro Stati e 650 isole, gli Stati Federati della Micronesia sono uno tra gli esempi meno noti nella lista Ocse. Tra i “clienti” internazionali che hanno contribuito al clima di opacità finanziaria spiccano alcune società di assicurazione offshore dal Giappone.
5) Guatemala

Vecchia presenza della lista nera Ocse, il Guatemala non ha mai allentato la presa sul segreto bancario che la rende delle roccaforti “tax free” dell’America Centrale. La Superintendencia de bancos, equivalente alla nostra Consob, insiste da anni per un processo di riforme che dia accesso a informazioni (riservate) in caso di movimenti sospetti. Appello inascoltato, per ora: gli ultimi dati parlano di un tasso di evasione del 65% su scala nazionale.
6) Libano

Tra gli 11 irriducibili al fisco anche il Libano, già settimo sugli 82 paesi del Financial Secretary Index del 2013 con una valutazione di 79/100 proprio nel “punteggio di segretezza”. Tra le falle segnalate allora dal ranking compaiono alcuni tra i criteri che non hanno permesso a Beirut di superare neppure la fase 1 della valutazione Ocse.

Nell’ordine: uno tra i segreti bancari più rigidi al mondo, appena ammorbidito dalla legge antiriciclaggio approvata nel 2001 e dalle ulteriori restrizioni in materia del 2011; l’elasticità totale sui flussi di capitale da e per l’estero; la completa mancanza di cooperazione con le stessa Ocse e le normative anti-evasione internazionali.
7) Liberia

In Liberia circa l’80% della popolazione vive con poco più di un dollaro al giorno, ma quasi 2 mila navi possedute da stranieri battono la sua bandiera. Un paradosso? Sì, se non si considera il vecchio escamotage della bandiera di comodo (vedi la scheda 2): la pratica che permette a grosse società armatoriale estere di registrarsi in paesi con regolamentazioni più blande di quelle che sarebbero previste nel paese d’origine. Nel 2013 si contavano 1.700 imbarcazioni, per un afflusso stimato da alcuni a 18 milioni di dollari l’anno.
8) Panama

Nota come “Svizzera d’America”, Panama non ha seguito l’evoluzione della sua ex omologa europea e svetta nella lista Ocse degli 11 paesi che non hanno superato i requisiti formali di trasparenza fiscale. Al di là delle recente polemica latinoamericana con la Colombia («Non siamo un paradiso fiscale»), il paese mantiene un regime agevolato che permette alle aziende internazionali di registrarsi nel paese del Golfo e operare all’estero, senza scontare tasse in nessuno dei due scenari.
9) Nauru

La minuscola isola di Nauru, secondo Stato più piccolo al mondo dopo la Città del Vaticano, registra un lungo trascorso nelle pratiche di evasione. Divenuta paradiso fiscale negli anni ’90, è già finita al centro di indagini internazionali per riciclaggio di denaro (70 miliardi di dollari dalla malavita russa nel 1998) e alcune pratiche “inusuali” come la possibilità di acquistare il passaporto di cittadinanza.
10) Trinidad e Tobago

Quando nel 2011 finì nella lista dei “paradisi fiscali” del premier francese Nicolas Sarzoky, il governo di Trinidad e Tobago bollò come “prematura e impropria” la definizione del titolare dell’Eliseo. Quattro anni dopo, la repubblica formata dalle isole gemelle poco a nord del Venezuela non supera l’esame dell’Ocse e rientra (ancora) nell’elenco scomodo dei paesi che non hanno dati segni di collaborazione nel contrasto all’opacità fiscale.

Il Paese mantiene quasi la metà del suo sistema sulle risorse petrolifere, pari al 40% del Pil,e svetta tra le nazioni più abbienti dell’area caraibica.
11) Vanuatu

A meno di 2 mila chilometri dalla costa dell’Australia, l’arcipelago di Vanuatu è noto già da qualche anno  come uno tra i paradisi offshore attivi su scala internazionale. La piccola Repubblica dell’Oceania offre tasse pressoché nulle, restrizioni inesistenti sulle transazioni finanziarie e agevolazioni come la doppia cittadinaza per chi investe sull’isola.

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